
Uno dei pochi, se non il solo, brand che possedeva le dimensioni, la tradizione e, non ultimo, la posizione geografica per rivaleggiare con Feltrinelli e Mondadori nello spaccio di libri ma anche film, musica, videogiochi e, più generalmente, qualsiasi supporto connesso alla cultura e all'intrattenimento.
Un’istituzione vera e propria per il sottoscritto, che su via del Corso, più o meno all’altezza di piazza Augusto Imperatore, da oltre un decennio trovava un'oasi di duemila metri quadri distribuiti su due piani, tra negozi di abbigliamento ggiovane, boutique, gigastore d'articoli sportivi e profumerie in franchising.
Quando Messaggerie Musicali nel 2007 finì sotto il controllo della Arnoldo Mondadori Editore, dietro un assegno di 24 milioni di euro, mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
Temetti il peggio fino a quando Mondadori riaprì il negozio e mi resi conto che, a parte la sostituzione del vecchio logo blu e argento delle Messaggerie Musicali con quello rosso e bianco su insegne e shopper bag, all'interno dello store (ribattezzato Mondadori Multicenter), poco era cambiato: il fornitissimo reparto di stampa straniera liberamente consultabile era ancora lì, i compact disc, i vinili, i film che occupavano tutto il piano terra e la libreria (discretamente fornita anche se un pelo male organizzata) sistemata al piano superiore avevano mantenuto le loro posizioni e gli spazi generosi.
Persino una delle sue caratteristiche più cosmopolite, l'orario d'apertura esteso fino a oltre le undici di sera, era stato mantenuto... e non avete idea di cosa significhi per uno come me, che spesso e volentieri non esce prima delle otto di sera dal lavoro e trova tutto chiuso, sapere di poter contare su un posto che rimane aperto fino a tardi anche solo per distrarsi un po' e cazzeggiare indisturbato tra libri, riviste e musica.



Questa volta non è successo.
Il mese scorso, nel quasi silenzio generale, Mondadori Multicenter ha chiuso.
Il negozio ha fatto una breve svendita di tutta la merce (di cui non sapevo niente, altrimenti ne avrei certamente approfittato) ed ha annunciato che si trasferiva, baracca e burattini, nel molto più periferico piazzale della Radio.
Appena mi è capitato, ci sono andato.
E mi sono ritrovato catapultato di botto negli anni novanta.
Il nuovo negozio è grande forse un quinto del precedente, incastrato al piano terra di un brutto edificio all'inizio di viale Marconi, ed è sostanzialmente un garage ben illuminato. Lo spazio dedicato a musica e film si è ridotto di un abbondante 70% in favore di spazi dedicati alle agendine, la carta da regalo, le matitine, i peluches, oltre, naturalmente, i libri.
La stampa estera? Sparita.
Lo spazio novità discografiche e letterarie? Andato.
Gli schermi ad alta definizione dove venivano proiettate le nuove uscite in dvd e blu-ray? Non c'è più posto.
L'orario d'apertura? Alle sette e mezza le saracinesche vengono giù.
Mi ritrovo sotto un soffitto basso e soffocante in una qualsiasi, anonima libreria del 1995 e concludo che, rispetto i mediastore da ventunesimo secolo come ne abbiamo in qualsiasi altra capitale europea (la Fnac di Barcellona o di Parigi, l'HMV di Londra o il Dussmann das KulturKaufhaus di Berlino), noi abbiamo chiuso il solo posto che poteva competere in termini di immagine, ampiezza degli spazi espositivi, varietà nell'offerta... oltre ad essere collocato nel centrocuore della capitale, in una posizione strategica che, con ogni probabilità, a breve sarà occupata da qualche banca o da qualche boutique in grado di permettersi gli affitti dei locali.
Ed è una conclusione amara.
p.s. La sola cosa bella che ho trovato nella nuova libreria Mondadori è stata una ragazza nerovestita con un tatuaggio sulla caviglia che cercava di prendere un volume su uno scaffale troppo alto persino per le sue splendide tacco dodici. Stavo per aiutarla, quando mi è caduto l'occhio sul libro che stava bramando.
E sono uscito.
Appena mi è capitato, ci sono andato.
E mi sono ritrovato catapultato di botto negli anni novanta.
Il nuovo negozio è grande forse un quinto del precedente, incastrato al piano terra di un brutto edificio all'inizio di viale Marconi, ed è sostanzialmente un garage ben illuminato. Lo spazio dedicato a musica e film si è ridotto di un abbondante 70% in favore di spazi dedicati alle agendine, la carta da regalo, le matitine, i peluches, oltre, naturalmente, i libri.
La stampa estera? Sparita.
Lo spazio novità discografiche e letterarie? Andato.
Gli schermi ad alta definizione dove venivano proiettate le nuove uscite in dvd e blu-ray? Non c'è più posto.
L'orario d'apertura? Alle sette e mezza le saracinesche vengono giù.
Mi ritrovo sotto un soffitto basso e soffocante in una qualsiasi, anonima libreria del 1995 e concludo che, rispetto i mediastore da ventunesimo secolo come ne abbiamo in qualsiasi altra capitale europea (la Fnac di Barcellona o di Parigi, l'HMV di Londra o il Dussmann das KulturKaufhaus di Berlino), noi abbiamo chiuso il solo posto che poteva competere in termini di immagine, ampiezza degli spazi espositivi, varietà nell'offerta... oltre ad essere collocato nel centrocuore della capitale, in una posizione strategica che, con ogni probabilità, a breve sarà occupata da qualche banca o da qualche boutique in grado di permettersi gli affitti dei locali.
Ed è una conclusione amara.

E sono uscito.