Cos'hanno di speciale i robottoni da combattimento dei manga e degli anime rispetto tutti gli altri robot partoriti dalla letteratura e dal cinema di fantascienza?
Ok, sono più grossi, e, spesso, più armati.
Ma non solo: mancano di autosufficienza, e devono essere pilotati da qualcuno al loro interno.
Il che, se da un lato rende la faccenda piuttosto romantica (l'eroe non sarebbe tale se ne stesse comodamente seduto in poltrona in qualche base remota a spingere qualche leva), fa del pilota del robot un mestiere schifoso.
Vediamo perché, e iniziamo da qualcosa di facile: camminare.
Mazinga Zeta è alto circa 18 metri. Secondo le schede tecniche che si trovano in giro, può camminare a circa 50 chilometri orari, cioè 14 metri al secondo.
La maggior parte delle persone si alza e si abbassa di circa tre centimetri a ogni passo: essendo Mazinga Zeta dieci volte più alto di un comune essere umano, questa cifra va moltiplicata per dieci. Il che significa che Koji Kabuto viene sballottato in continuazione su e giù a balzi di trenta centimetri sulla poltrona, mentre corre a una velocità di 50 chilometri orari: nulla di piacevole... ma, se ci si allena a sufficienza, immagino sia possibile resistere alla nausea.
I veri problemi iniziano quando Mazinga inizia a
correre. Sempre secondo i suoi creatori, la sua velocità di corsa è di 360 chilometri l'ora... circa cento metri al secondo, dieci volte il record massimo di Carl Lewis.

L'atleta compì i cento metri in 9,92 secondi bruciandoli in 43 passi , cioè un passo ogni 0,23 secondi. Secondo i calcoli (pubblicati nella Scienza della corsa di Hiromichi Kobayashi), i suoi piedi si trovarono contemporaneamente sospesi in aria per 0,14 secondi, e a terra per 0,09.
Nel caso di Mazinga Zeta, queste cifre vanno di nuovo moltiplicate per dieci... il che significa che si troverà in aria per 1,4 secondi e a terra per 0,9, disegnando una parabola alta 2,4 metri e larga 230: ora, quando un corpo descrive una smile parabola, al suo interno si verifica una momentanea assenza di gravità. Avete presente quando siete in discesa sulle montagne russe o viaggiate in aereo e c'è un vuoto d'aria? Quella sensazione di stomaco che esce dalla bocca è causato esattamente da questo tipo di decelerazione gravitazionale, ed è quella che prova il pilota di Mazinga Zeta per 1,4 secondi... prima di ripartire per un altro passo, proprio come il vagoncino delle montagne russe risale all'istante dopo la picchiata, schiacciandovi contro il sedile.
Quando un essere umano corre, questa pressione è pari circa tre volte il suo peso, ma le forze in gioco nel caso di un robot alto diciotto metri sono dieci volte superiori, quindi, se Koji pesa settanta chili, sarà sottoposto ad un'alternanza continua di totale assenza di gravità e di una pressione di oltre due tonnellate ogni 2,3 secondi (grafico qua sotto).

Tutti i corpi solidi, se sottoposti a sollecitazioni ripetute, si logorano e si spezzano, metalli compresi. Kabuto potrebbe sopravvivere a due o tre colpi di questo tipo, ma non ad una serie ogni 2, 3 secondi. Resterebbe con tutte le ossa spezzate dopo pochi passi.
E dopo la corsa, i salti.
Mazinga Zeta può balzare fino a 20 metri d'altezza. Nel salto, quando si ritorna al suolo l'impatto è proporzionale all'altezza del salto stesso. Il pilota sperimenterebbe quindi una caduta da un'altezza di venti metri, pur restando legato al suo seggiolino. Al momento dell'impatto la sua velocità è di oltre 70 chilometri orari, ma non è il solo fattore da prendere in considerazione. C'è la durata del salto: questa varia (e non poco) a seconda di come il robot atterra. Se piega le ginocchia il salto durerà mezzo secondo e la forza d'impatto sarà di 280 chili... già abbastanza devastanti, ma guardando le immagini dell'anime, Mazinga Zeta salta in posizione praticamente eretta... e probabilmente ha delle ottime sospensioni, perché non affonda neanche nel terreno. Non piegandosi, la durata del salto precipita a 0,2 secondi, e la forza d'impatto schizza a sette tonnellate.
7 tonnellate è la potenza media: nell'istante di picco, è ancora più intensa. Se tutto l'impatto viene assorbito dalle sospensioni del robot, il pilota, a meno che non sia dotato di muscoli bionici, finirebbe spiaccicato come budino.
Ma questo, amici, è ancora niente.

Questi robot sono progettati sostanzialmente con un solo scopo:
combattere.
Ed è proprio il combattimento che sarebbe l'attività più pericolosa da svolgere standovi al suo interno.
L'antropoformizzazione di questi oggetti ha portato i suoi creatori a farli combattere, oltre che con laser, missili e proiettili di vario tipo, anche col caro, vecchio, corpo a corpo.
Leggo, sempre sulla scheda tecnica, che Mazinga Zeta ha una potenza di circa 750.000 cavalli, ed è lecito presumere che i suoi avversari dispongano di una forza equivalente. La forza di un pugno è in funzione dell'energia del robot e del tempo impiegato per scagliarlo. Un colpo mediamente veloce viene sferrato in circa mezzo secondo. Con una potenza di 750.000 cavalli, l'energia prodotta in questo lasso di tempo è di 24.000.000 di joule... di cui circa la metà viene dispersa dall'attrito, un quarto colpisce il bersaglio e un quarto finisce nel contraccolpo.
Ma, considerato che la superlega con cui è costruito non cede di un millimetro (non l'abbiamo mai visto ammaccato, giusto?), l'intera metà di 24.000 joule si trasforma in energia cinetica, che farebbe volare all'indietro il robot per 1,2 chilometri a 390 chilometri orari, con quasi la stessa velocità d'impatto al suolo.
Possibilità di sopravvivenza per il pilota umano? Praticamente inesistenti.
E vi ricordo che nella cabina di pilotaggio non si vedono cinture di sicurezza... che, anche se fossero presenti, non farebbero che diminuire le probabilità di morire. Secondo la legge dei grandi numeri, sottoposto a ripetuti attacchi, il pilota del robot finirà alla lunga con il lasciarci la pelle, cintura o non cintura.
Semplificando, se senza cintura le probabilità di morire sono pari al 100% e del 10% con la cintura, dopo dieci attacchi la probabilità di sopravvivere sarà del 35%, e dopo venti del 12%.
Se calcolate che un robot, in una qualsiasi puntata del vostro anime preferito è sottoposto a una media di venti attacchi, il suo rischio di mortalità è superiore all'88%. Voi ci salireste?
Magari state pensando ad un airbag.
Efficace, certamente... solo che può funzionare una sola volta. E riempire di airbag la cabina potrebbe non rivelarsi la soluzione più pratica, considerato il numero di attacchi del nemico.
Un'idea abbastanza inedita potrebbe essere riempire la cabina di un
liquido a bassa viscosità (come l'alcool), dove il pilota potrebbe guidare immerso vestito di una tuta stagna. Immerso nel liquido, però, il pilota sarebbe isolato dai movimenti del robot, e tutti i suoi movimenti sarebbero rallentati e piuttosto goffi.

Conclusione: qualunque robot da combattimento che implica la presenza di un pilota al suo interno contiene un cruciale errore di progettazione.
Il pilota farebbe prima a starsene al sicuro nella base di cui vi dicevo all'inizio, e pilotarlo a distanza. Non c'è davvero alcun motivo plausibile per costringere un poveraccio ad andare a massacrarsi volontariamente dentro un robot alto decine di metri che si muove a svariate centinaia di chilometri orari... se non proprio il fascino dell'idea che questo si muove in sintonia col suo pilota. Che, però, una volta morto, non serve più a niente.
Grazie ancora a Rikao Yanagita, che ha condotto un'accurata analisi sulla scienza dei manga e degli anime... comprate il suo libro se vi ha divertito il contenuto di questo post (Anime University, Kappa Edizioni).